I benefici e i danni della cannabis

È un “farmaco” utile in diverse malattie, senza effetti collaterali. È una sostanza che può indurre dipendenza, e alla lunga provocare danni al fisico e alla mente. Il dibattito sulla cannabis, con diverse sfumature, ruota da tempo su queste due posizioni in netto contrasto.

C’è innanzitutto da dire che l’effetto della cannabis come farmaco si basa sui composti che contiene, i cannabinoidi. Il più noto, il THC, è all’origine sia degli effetti psicoattivi della canapa sia delle sue proprietà farmacologiche. È infatti in grado di legarsi in maniera specifica a recettori presenti sulla superficie delle cellule del nostro organismo, che a sua volta produce in modo naturale molecole come gli endocannabinoidi, coinvolte in tantissime funzioni fisiologiche, dall’appetito al metabolismo, dalla memoria alla riproduzione.Il dibattito è acceso tra chi considera la cannabis un utile ausilio medico e chi ritiene i benefici sopravvalutati, e i rischi per la salute non trascurabili: un tema di particolare importanza negli Stati Uniti, dove diversi stati stanno procedendo a legalizzare il consumo di cannabis anche a scopo ricreativo.Ad esempio, secondo uno studio (Zalescky et al., 2012) è stato dimostrato come l’uso prolungato di cannabis in adolescenza o nella prima età adulta è pericoloso per la materia bianca cerebrale. Nello specifico, l’autore (ibidem) ha indagato specificatamente il suo impatto sulla connettività delle fibre assonali attraverso la risonanza magnetica. È emerso che la connettività assonale risulta compromessa nelle seguenti aree cerebrali: fimbria destra dell’ippocampo (fornice), splenio del corpo calloso e fibre commissurali che si estendono fino al precuneo. È stata inoltre riscontrata un’associazione tra la gravità delle alterazioni e l’età in cui ha avuto inizio l’uso regolare di cannabis. L’uso precoce e prolungato di cannabis risulta quindi particolarmente pericoloso per la materia bianca del cervello in fase di sviluppo, portando ad alterazioni della connettività cerebrale che, secondo gli sperimentatori, potrebbero essere alla base dei deficit cognitivi e della vulnerabilità ai disturbi psicotici, depressivi e d’ansia dei consumatori di cannabis.Si sta diffondendo un forte interesse scientifico sulla permanenza dei deficit di attenzione e di memoria descritti in soggetti forti consumatori di marijuana. Alcuni ricercatori si sono chiesti se tali effetti potessero essere reversibili dopo un’astinenza prolungata dalla sostanza. In particolare, non è chiaro se la reversibilità dei deficit cognitivi possa essere considerata un indice di mancata alterazione della droga sul funzionamento dei circuiti cerebrali oppure se, nonostante tali alterazioni, il cervello sia in grado di adattarsi ai cambiamenti indotti dalla sostanza. In uno di questi studi (in Serpelloni, 2011) è stata misurata la variazione del segnale BOLD (stato di ossigenazione del sangue) mediante l’utilizzo di una Risonanza Magnetica funzionale (fMRI) in 24 consumatori cronici di marijuana (12 astinenti e 12 consumatori attivi) confrontati per età, sesso ed educazione e 19 soggetti di controllo. I partecipanti dovevano eseguire durante la scansione RM in una serie di compiti di visuo-attentivi suddivisi per livelli di difficoltà. L’esame prevedeva inoltre la somministrazione di test neuropsicologici per la valutazione delle funzioni cognitive. I due sottogruppi di soggetti consumatori di cannabis (astinenti e consumatori attivi) non mostravano differenze nel modo di utilizzo della sostanza (frequenza, durata e età di primo utilizzo, consumo medio totale > 2000 assunzioni) o di esposizione totale stimata di Δ-9-tetraidrocannabinolo (THC) (media 168 ± 45 vs 244 ± 135 grammi).